Carl Lee Perkins nacque a Tiptonville, Tennessee, il 9 aprile 1932, ma subito dopo la famiglia si trasferì nella Lake County, una zona di coltivazione di cotone nella quale quella di Carl era l’unica famiglia di bianchi in un paese abitato solo da neri. Era inevitabile così che le sue prime influenze musicali provenissero più dal blues rurale nero che dal country bianco della pur vicina Nashville, influenze che il giovane Carl iniziò ad esprimere quando un vicino, Uncle John, gli regalò una chitarra insegnandogli i primi accordi. Carl però era uno spirito libero e ben presto agli insegnamenti del maestro preferì una sorta di “esplorazione” che lo portò a maturare uno stile che doveva a B.B. King e a John Lee Hooker più di quanto dovesse ai padri del country che allora, nello strumento, dettavano legge. «Non ho fatto che suonare della musica country con un beat nero» affermò lui.
Quando nel 1949 la famiglia Perkins si trasferì nuovamente, la musica era già il principale interesse di Carl. Il giovanotto andava in giro per locali di infimo ordine suonando la sua “country music with a black beat” accompagnato dalla Perkins Brothers Band, formata dai fratelli Jay e Clayton a cui si aggiunse qualche anno più tardi il batterista Fluke Holland. Gli inizi non portarono a Perkins e agli altri alcuna soddisfazione, ma il gruppo rimase unito in attesa che succedesse qualcosa.
Nel 1954 alla radio Carl sentì qualcuno che faceva la sua stessa musica, qualcuno a cui si pronosticava un grande futuro. Se quel tale Elvis Presley poteva diventare famoso con quella musica, allora quella musica aveva un futuro. I Perkins Brothers quindi fecero le valigie e partirono per Memphis, alla ricerca di quella casa discografica (la Sun) e di quel produttore (Sam Phillips) che sembravano essere così in sintonia con quello che essi stavano suonando. Naturalmente il matrimonio si fece e nel gennaio del 1955 uscirono i primi due brani di Carl Perkins, Turn Round e Movie Magg. In quel periodo la Sun era l’autentico crogiolo del nascente rock’n’roll: per le sue sale si aggiravano Elvis Presley, Roy Orbison, Jerry Lee Lewis, Johnny Cash, e se Phillips avesse potuto dedicare a ognuno di essi il tempo che dedicava ad Elvis, probabilmente tutti avrebbero avuto le stesse probabilità di successo di “The Pelvis”. Invece fu solo dal 1955 (dopo la cessione del contratto di Presley alla RCA) che il produttore ebbe tempo anche per gli altri. Gli effetti si videro subito. Se i primi dischi di Perkins sapevano ancora troppo di country, da quel momento si cambiò strada. Nel dicembre del 1955, sotto la guida del geniale produttore, Carl Perkins, sempre accompagnato dalla band degli inizi, incise Blue Suede Shoes.
«Stavamo suonando, io e i miei fratelli, ai Jackson club» – ricorderà poi Perkins – «quando mi capitò di ascoltare la conversazione di una coppia che stava ballando davanti al palco: “Non calpestare le mie scarpe di camoscio blu!”, sbraitava il ragazzo. Era un tipo coi capelli imbrillantinati, la giacca e tutte le caratteristiche comuni alla nuova generazione del rock’n’roll. Ciò mi colpì e la notte non riuscii a dormire. Così mi alzai, andai di sotto e cominciai a scrivere, su un pezzo di carta nel quale erano avvolte delle patate, di questo ragazzo e delle sue scarpe scamosciate, tenendo presente lo schema di una vecchia canzone popolare: uno per i soldi, due per lo spettacolo, tre per essere pronti, quattro per andare (che diventeranno poi i primi versi della canzone). La mattina dopo andai in una cabina telefonica, chiamai il signor Phillips e gliela cantai per telefono. Lui mi disse solo: “quando arrivi?”» Il brano all’inizio non fu notato: le radio gli preferivano il retro, Honey Don’t, ma nel giro di due mesi il pezzo era primo nelle classifiche rhythm’n’blues, in quelle country e in quelle pop. Un fatto mai accaduto prima. Con Blue Suede Shoes, Carl vendette subito oltre un milione di copie, impresa che al tempo non era ancora riuscita neppure a Presley.
Chi era stato capace di scrivere un brano del genere certo avrebbe potuto firmare altri grandi hit, invece il 23 marzo 1956 Perkins, durante un trasferimento in auto da Norfolk a New York per partecipare a una puntata del “Perry Como Show”, si scontrò con un autocarro. L’incidente procurò al musicista e ai suoi fratelli diverse fratture, ma niente che non potesse essere risolto in qualche mese, eppure quell’episodio avrebbe, di fatto, stroncato la carriera del musicista.
Tornato dopo una lunga convalescenza, si accorse che il momento magico di Blue Suede Shoes era passato e in pochi mesi constatò che i nuovi pezzi (Boppin’ the Blues, Your True Love) non ne avrebbero rinverdito i fasti. Nel 1958 la Sun non rinnovò il contratto al musicista, sempre più pericolosamente affezionato alla bottiglia, che passò alla Columbia, ma le cose non migliorarono. Il rock’n’roll era agli sgoccioli e, guardandosi indietro, Perkins vedeva di non essere riuscito a sfruttare appieno il proprio potenziale. E ora era tardi.
“Blue Suede Shoes”, come destino di tutti i classici, è stata ed è ancora suonata da un grande numero di musicisti, riempiendo di giustificato orgoglio colui che la scrisse. Dichiarò una volta Carl Perkins ricordando la sua infanzia povera vissuta tra i contadini del Tennessee: “Dopo tutti quei giorni nei campi di cotone, i sogni si sono avverati con un disco d’oro. È nel mio soggiorno dove posso guardarlo ogni giorno.” Carl Perkins morì il 19 gennaio 1998 all’età di 65 anni a causa di un tumore alla gola.